2018 IDOMENI BLUES UN POSTO SULLA TERRA © Giulio Nori
“As I went walking I saw a sign there
And on the sign it said "No Trespassing."
But on the other side it didn't say nothing,
That side was made for you and me….
…Nobody living can ever stop me,
As I go walking that freedom highway;
Nobody living can ever make me turn back
This land was made for you and me.”
Woody Guthrie
Il giorno che son partito per Idomeni, su una macchina rossa, prima di prendere il traghetto dall’Italia, ci siamo fermati in un autogrill per un caffè e per i giornali. C’era un cestone grigliato di acciaio pieno di compact disc, di fianco ai gratta e vinci delle casse, con un cartello TUTTO A 3 EURO E 99. Dalla pila messa alla rinfusa ne sbucava uno con la faccia di un cantante folk americano.
Una volta poi arrivato al campo continuava a girarmi nella testa una canzone blues, forse sarà stata la rotaia, onnipresente, o forse il mio immaginario, troppo impegnato a guardarsi intorno e a cercare un motivo per giustificare ciò che stava vedendo, vivendo e respirando. O forse no. Cantare, comunque, anche in silenzio, spesso aiuta. Poi la ghiaia in mezzo all’erba, l’acciaio delle strutture costruite in fretta e furia, si vedeva, quasi a continuazione dei binari e della plastica e del legno delle tende da campeggio, le ombre sparse e dure insieme al sole bollente del giorno e quasi non visibili in mezzo al gelo e al fango della notte. La terra malcalpestata e scivolosa, che si lasciava modellare dalle suole o dai piedi nudi di chi ci passava sopra, l’odore della plastica bruciata per scaldare una ciotola di minestra e per far bollire due scodelle di the, le persone e le mani sempre in mezzo a qualche attività, i sorrisi e le pacche sulle spalle, le fotografie, l’energia, forte, che mi sembrava ciò di cui io avessi bisogno prima di partire, le parole negli occhi della gente, e il vento, rumoroso, che mescolava tutto, compresi i pensieri, miei e di tutti quelli che non ho incontrato. E allora ho lasciato spazio alla musica, nella testa. La musica, quella dell’anima, del fango e del sudore. Del lavoro e della malinconia, quella vera (di malinconia). Del camminare, spesso scalzi, delle code di persone durante la grande depressione. Del cadere sulle ginocchia, del rialzarsi, dell’andare avanti, del sentirsi stanchi, della polvere, delle mani gonfie, e dell’amore. Nonostante tutto.
Il giorno che son tornato da Idomeni c’era una gran coda, in Italia, che cominciava ad Ancona, non appena scesi dal traghetto. Ci ha accompagnati fino oltre a Bologna. Siam riusciti a fermarci a Modena, per un caffè e una breve pausa (i giornali li avevano già ritirati). Di fianco alle casse un cestone di cd simile a quello visto dall’altro lato della strada, all’andata, con lo stesso cartello. Il cd del cantante folk americano, anche qui, in bella vista e doppia copia. Lo lascio lì, che la sua musica l’ho già in testa da almeno una settimana, e compro un cane di peluche per mia figlia, che mi sta aspettando a casa, anche se può essere che già dorma.
Dai primi giorni di Marzo 2016, circa quindicimila profughi (il 40 % dei quali minori) soprattutto Siriani, Afghani, Pachistani ed Iracheni, si sono accampati nei pressi del villaggio greco di Idomeni, a ridosso del confine macedone, lungo la ferrovia dove fino a poco tempo prima c’era un valico per accedere alla rotta balcanica, verso i territori dell’Europa occidentale. Il 24 Maggio 2016 è cominciato lo sgombero del campo da parte delle forze di polizia greche. In pochi giorni la stragrande maggioranza dei profughi sono stati forzatamente trasferiti in campi militarizzati, controllati da esercito e polizia, non accessibili a giornalisti, fotografi, operatori video e normali cittadini, in attesa di respingimento o di rimpatrio forzato, dopo gli accordi intercorsi tra Unione Europea e Turchia per controllare i flussi migratori provenienti da paesi in guerra o con pesanti problemi di stabilità interna. Il reportage “Idomeni Blues” è stato scattato nei giorni 25,26,27 e 28 Marzo 2016.